Territorio

La costa laziale e le isole Pontine

La Provincia di Latina è equamente divisa tra montagne, colline e pianure che finiscono nelle azzurre acque del Tirreno. Quelli che un tempo venivano chiamati Monti Volsci, oggi si dividono in Aurunci, Ausoni e Lepini. 

Lì risiedevano i Pastori che partivano dalle loro case per gli spostamenti secondo il rito della Transumanza, andando a strappare più terreno possibile alle terre paludose della pianura, e dopo la bonifica, ad ampliare i loro possedimenti. Inizialmente lì si produceva per autoconsumo, poi, per far fronte a tante problematiche dalla carestia all’inflazione dovettero cominciare l’attività di scambio e commercio.

Il mezzo di sostentamento di chi viveva in pianura era la caccia nelle foreste che un tempo coprivano gran parte del territorio (20-30 mila ha da Terracina a Cisterna) dal mare fino all’entroterra e la pesca a mezzo di "peschiere" nei laghi che i Romani, i Monaci di Grottaferrata e i Caetani usavano considerandoli giganteschi e generosi fornitori di ingenti quantità di pesce. Le zone a Nord della costa (Circeo e Latina) e Terracina non offrivano molte possibilità di pesca per l’impossibilità di costruire porti e quindi poche "leve" nella pesca. …

E arrivarono i Puteolani che rimpolparono le squadre di pesca e insegnarono essi stessi la meravigliosa e fruttuosa arte.
Anche i Gaetani, Formiani e Minturnesi erano grossi pescatori ma di pesca d’altura, con velieri da pesca, menàidi e lampare che illuminavano con le lampade a poppa l’orizzonte con una sottile linea luminosa per la pesca di notte.


 
Si pensava quindi più all’alimentazione e a passare la giornata a lavorare e trovare il modo di tener fermo lo stomaco piuttosto che curare i prodotti stessi.

Ogni cosa faceva zuppa ma non certo il pesce pescato che era destinato a essere venduto, TUTTO nel banco del mercato. Quindi il sapore alla zuppa di pesce era dato da una cipolla e da un sasso pescato dal fondo del mare così da mantenere l’idea di sentire il sapore del pesce invece di mangiarlo sul serio.

Quella che oggi è una pietanza che fa tendenza un tempo era mezzo di sostentamento fatto da ingredienti poveri, si parla del piatto locale denominato: tiella di Gaeta che può essere di terra (con scarola, bieta e cipolla fra gli ingredienti) e di mare (alici, sarde e in tempi proficui anche purpetielle – piccoli polpi).

Si procede quindi a fornire un’analisi delle produttività a seconda delle aree geografiche coperte dalla provincia di latina dalla collina fino al mare. Ogni paese conferisce la propria personalità ai piatti preparati nel territorio di riferimento e anche se prendono un nome uguale ad altrettanti piatti riscontrati in territori limitrofi o notevolmente distanti conservano la tipicità comunque delle proprie origini.

Alcune trattorie della zona collinare della provincia di Latina ancor oggi offrono pasta fatta in casa anche se purtroppo non vi sono più le robuste mamme di casa a trattare voluminosi e pesanti impasti da maneggiare, stendere e tagliare. Le macchine hanno quindi anche qui in larga parte sostituito la manualità.

La pasta fa da padrona quindi e gli ingredienti sono invariati, sia che si parli dei Tagliolini di Cori, della Ramiccia di Norma, delle fettuccine o delle tagliatelle: acqua, farina, uova e olio, e naturalmente una lunga, paziente lavorazione ora energica, ora delicata. Le Làcchene che a seconda del luogo mutano il proprio nome: làine, lacne, làccane) rappresentano una divagazione sul tema in quanto non è contemplato l’uovo tra gli ingredienti ma solo acqua e farina.

Una certa curiosità è rappresentata dalla cosiddetta "minestra dei mariti" (o per dirla a Sezze: "rappracca cornuti"). Si preparava versando uova su pasta fatta in casa appena lessata e condita anche con tanni (parti tenere degli zucchini) e pane di grano.

Era un piatto cucinato quasi all’istante e il nome lascia maliziosamente pensare che il periodo di assenza del marito la moglie poteva spenderlo diversamente.

A Bassiano sono noti i tortiglioni con sugo di capra; questa è molto diffusa inoltre in località come Sonnino, Prossedi, Roccagorga e Roccasecca dei Volsci.
Anche le Ciammaruche (lumache) in sugo piccante sono molto in voga nel territorio.
A Campodimele invece si usa condirle con una sfiziosissima salsa verde per la ricorrenza del santo patrono: S.Onofrio, il 12 Giugno.

A Cori oltre a piatti con selvaggina è rinomato il prosciutto cotto al vino e aromatizzato con salvia e rosmarino e a Bassiano il prosciutto dolce fa la sua parte assieme a due prodotti agroalimentari tradizionali di origine vegetale: carciofi e broccoletti (a Sezze questi sono più amari ma non meno gustosi).

A Sezze il carciofo romanesco ha ottenuto l’IGP.

Due pietanze rustiche del territorio collinare meritano di essere menzionate per un riscoperta degli antichi sapori ottenuti dall’ingegno di chi non aveva altro mezzo di sostentamento se non il recupero.

Queste pietanze sono la ‘Mpanata (pan di grano duro inumidito nel siero di latte caldo e ricoperto di frammenti di ricotta) e la pizza al mattone, una focaccia di granturco detta anche (senza logica apparente) fanciulla, cotta su mattoni quadrati infuocati e mangiata coi broccoletti all’arrabbiata.

Per concludere si citano la Panonta (pane di grano intriso dal grasso di scolo del maiale in cottura) e la pasta di granturco con gli sfrizzoli di maiale.

Tra i dolci si citano le ciammelle d’acqua o di vino o le grandi e vaporose Scottolate.
Chiudono la lista, anche se sono prodotti in disuso: i frascatiei e il panciolle, pasta ripiena di ogni cosa dallo zibibbo, alla cioccolata alle mandorle e fichi secchi dolci.

Per bere dietro qualcosa di tipico è consigliato il Ratafià di Maenza, se ancora si riesce a trovarlo.

Costa e Isole Pontine

Come la collina anche il mare può offrire buoni ingredienti per succulente pietanze locali.
Le ricette vanno dalle salse alla pescatora miste a diversi componenti che formano un intingolo, questo varia a seconda delle mani che lo preparano.

Un cibo invariato è invece la zuppa di pesce, quella verace: dentro vi sono pesci di scoglio come lo scorfano e i frutti di mare.
La frittura, come ovunque nell’Italia marittima, può essere classica o di paranza ma…occhio alla freschezza!

Inoltre esiste un altro modo per preparare i pesci: l’acqua pazza. Si usava prepararla in barca coi pesci di scarto (o un sasso del fondo marino per i più poveri) usando olio, aglio e acqua come condimento. Il modo migliore per il pesce come cefali, spigole e orate e simili è alla brace, poiché mantiene nelle proprie carni tutto il succo e l’essenza del mare condito alla fine con finocchiella delle Balze del Circeo, rosmarino o ginepro.

Dalle letture omeriche sembra (leggende metropolitane?) che nella pozione che la Maga Circe donò a Ulisse vi fosse un’erba che (sempre senza sbilanciarsi) sembra essere stata riconosciuta da botanici come l’erba Moly.

Polipi cotti alla partenopea (cioè affogati nella loro stessa acqua) e purpetielle con mazzancolle e gamberoni contribuiscono ad ornare le ricche pietanze marine di questi luoghi. Non si disdegni anche i piccoli mercati di pesce improvvisati al ritorno dalla pesca di imbarcazioni private locali come paranze, gozzi e cianciòle.

Non basterebbe una delle nostre guide ciboviaggiando per elencare e descrivere le specie di pesci che popolano i nostri mari come le ricette per cucinarli in modo da gustarne appieno la freschezza e la fragranza. Si parla addirittura di piatti con murene, fritte a larghe fette con foglie di lauro.

Ma oltre al pesce si trovano anche prodotti delle isole che stanno tornando alla ribalta. 

Come le lenticchie di Ventotene, rosolate sul fondo di un tegame con sottili fette di ventresca, cipolla e odori vari.
Parimenti sono cotte le fave, fino a renderle purea e condite con acciughe salate, aglio e olio d’oliva.

 
Altro prodotto tipico che non va trascurato è rappresentato dai latticini. Ve ne sono di latte di bufala o vaccino: mozzarelle di ogni misura (ovoline, confettini fino alle forme più grandi), il pregiato fior di latte dell’Agro Pontino, la treccia, il burro, il cacio cavallo, il silano, le scamorze fresche e affumicate, il primo sale e lo stracchino. 

Nell’elenco figurano anche formaggi di pecora e di capra come il "caso marzolino" e il "caso peruto" del sud della provincia di Latina.
Per passare dal latte e formaggi alla carne vaccina, si informa il lettore di queste nostre pagine che nell’Agro Pontino si sperimenta in continuazione, e oltre a macellare i bovini per i soliti tagli a cui l’Italiano medio è abituato, qui si produce anche la "bresaola di Bufala".

Il Vino

Marziale, nei suoi epigrammi, ne parla, e in effetti il vino locale è degno di nota.
  • DOC "Aprilia" – Trebbiano (bianco), Merlot (Rosso), Sangiovese (Rosato) – la denominazione è riservata a vini ottenuti da vigneti costituiti per almeno il 95% dai corrispondenti vitigni dell’area comprendente il territorio del comune di Aprilia e parte di quelli di Latina e Cisterna di Latina.
  • DOC "Cori" – Bianco: ottenuto da vitigni di Malvasia di Candia (70% max) e Trebbiano Toscano (40% max); a queste possono aggiungersi vitigni di Bellone e/o Trebbiano giallo presenti fino a un max del 30%.
  • Rosso: vitigni di Montepulciano (dal 40 al 60%), Nerobuono di Cori (20-40%), e Cesanese (10-30%).
  • DOC "Circeo" – (parte dei comuni di Latina, S.Felice Circeo, Sabaudia) riservata al bianco da uve di vitigni Malvasia di Candia (fino al 30%), Trebbiano Toscano (max 60%) e altri vitigni autorizzati e raccomandati (fino al 30%), al rosso (anche novello) e rosato da vitigni Merlot, Trebbiano e San Giovese, tutti con minima presenza dell’85% e con concorrenza di altri vitigni autorizzati e raccomandati fino ad un max del 15%.
  • La provincia di Latina è interessata anche dalle DOC "Velletri" e "Castelli Romani".
 

Il Pane, il miele, l’Olio e le Olive sono pure prodotti locali che meritano menzione per la qualità e la varietà con cui ancora sono curati e promossi e il sostentamento che gli stessi, come prodotti alimentari di base, hanno garantito alla popolazione locale nel tempo anche in periodi di maggior povertà (carestie e guerre).