Il Cacio di Pienza
Si pensa al formaggio e alla Toscana e viene subito in mente la sinuosità delle colline della Val d’Orcia, la cui vista si gode dal vicolo dell’Amore a Pienza. Si può definire Pienza la patria del formaggio, anche se è un po’ riduttivo per una città papale quale è stata in passato questa cittadina di provincia; tuttavia, nel corso principale, tra ristoranti e facciate di travertino di chiese, chiostri e palazzi signorili, a Pienza non si incontrano altro che botteghe di alimentari che suggeriscono l’acquisto di vini dei vicini Montepulciano, Buonconvento e Montalcino; ma anche, in quelle stesse botteghe, si annusa l’odore inconfondibile del Pecorino stagionato sotto foglie di noce o, ancora più frequentemente, sotto la cenere. Il formaggio, e l’arte di produrlo, fanno parte della storia del luogo e come il vino, il grano o particolari frutti o cereali, racconta la "miseria e nobiltà” dei luoghi in cui si produce.
Nel suo aroma inconfondibile si ritrova il profumo delle erbe spontanee che scandiscono le stagioni sui pascoli della campagna toscana. L’eccellenza di un prodotto, però, viene anche dall’esperienza, dalla capacità, dalla sensibilità e dalla manualità dei contadini-casari, la cui sapienza è degna del grande patrimonio artistico.
Uomo e natura diventano complici nella sublimazione di aromi e sapori, portando a gloria legittima la scienza contadina e il suo riverberarsi nella storia dell’uomo e del luogo.
Il pecorino, o meglio, il cacio, gustoso compendio dell’arte casearia toscana, è un prodotto che caratterizza tutta la regione. Artemisia, barba di becco, ginestrino, finocchiella sono solo alcune delle erbe spontanee che conferiscono e caratterizzano il profumo del latte delle numerose greggi che ancor oggi pascolano sui monti e sulle colline, dalla Garfagnana all’Amiata, dal Chianti al Casentino, dalle Crete Senesi fino alla Maremma.
Il Pecorino Toscano, per questo suo essere e raccontare la Toscana, ha ricevuto il riconoscimento della D.O.P. "Pecorino Toscano” nel 1986, fino a comprendere alcune zone oltre confine in Umbria e nell’Alto Lazio.
Le pecore allevate sono la comisana e la massese, ma anche la sopravvisana, l’appenninica e la sarda.
Di altro "peccato” viene da lamentarsi quando si pensa che sono dovuti venire i pastori sardi negli ultimi tempi, in Toscana, per insegnare e soprattutto proseguire l’arte casearia. Quella che era un’arte ANCHE toscana, infatti, non la vuol praticare più nessuno tra gli operatori del settore, se non con metodi moderni che della vera arte di produrre formaggio, di quella naturale alchimia che consiste nell’unire latte genuino e cagli vegetali o animali in una stalla o cantina a contatto coi batteri che poi svolgeranno la loro funzione, non hanno più nulla. Ma questo è un aspetto che non riguarda solo la Toscana purtroppo …
Le mani sono ancora oggi lo strumento più importante per la produzione di pecorino. Dopo la mungitura, fatta due volte al giorno, il latte di pecora viene portato ad una temperatura tra 35 e 38 gradi e viene rapidamente unito al caglio di vitello.
Dopo poco più di 20 minuti la cagliata viene rotta e si formano dei grumi grandi come una nocciola per il formaggio fresco, e più piccoli per il pecorino destinato a stagionatura. Messo a covare nelle cascine, il futuro formaggio è stufato a vapore per eliminare il siero, con il quale verrà preparata la ricotta.
Salato a secco o messo in salamoia, vi rimane dalle 8 alle 14 ore per ogni Kg di formaggio. Infine i casari, con pazienza antica, ne sorvegliano la stagionatura. Questa ha la durata minima di 20 giorni per il Pecorino Toscano a pasta tenera, e di 4 mesi per il Pecorino Toscano stagionato, durante i quali periodicamente le forme vengono lavate e girate.
Il prolungarsi della stagionatura esalta maggiormente il sapore e il colore, rendendo questi ultimi più intensi e la pasta più compatta.
Le varie fasi di lavorazione del pecorino si svolgono secondo l’antico rituale codificato nei secoli; le uniche differenze rispetto al passato sono le operazioni di cagliatura, salatura e stagionatura, che avvengono in moderni caseifici per garantire al consumatore i requisiti di salubrità del prodotto.
Le forme, prima di essere messe in commercio, sono controllate una ad una per la verifica di corrispondenza col Disciplinare; poi viene apposto il marchio di origine che riporta una ‘P’ e una ‘T’ stilizzate, la scritta Pecorino Toscano e il numero di identificazione del caseificio produttore: quelle fresche sono marchiate ad inchiostro, mentre quelle stagionate prima sono marchiate a fuoco e poi mandate in distribuzione.
La sua storia è presto narrata: è stato dapprima un alimento delle antiche popolazioni nomadi (non solo in Italia) perché garantiva loro il giusto apporto calorico durante le lunghe marce per il pascolo del bestiame. È un alimento citato in varie opere letterarie, da quelle più scientifiche di Plinio il Vecchio (Storia Naturale) a quelle di Pantalone da Confidenza (Summa Lacticinorum).
Per una donna, la capacità di fare formaggio era considerata in passato una dote da tramandare. Il formaggio pecorino toscano oggi è sulle tavole sia delle case degli italiani che dei ristoranti e delle enoteche che si appoggiano a questo prezioso alimento (preferibilmente nella sua fase più stagionata) per gli abbinamenti e le degustazioni più varie, sia con vini più o meno pregiati che con confetture, marmellate e con ogni tipo di miele.
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