Prodotti tipici

Il riso del Pavese

ORIGINI STORICHE

Riso è una parola di origine indiana, deriva dalla parola della lingua Tamil arisi, documentata già 5000 anni fa nell’India meridionale.

Viene coltivato da epoche antichissime in estremo oriente, Cina, India, Giappone. Anche gli arabi, gli armeni, i copti, e i siri conobbero il riso e ne studiarono i metodi di coltura come risulta da numerosi riferimenti e citazioni presenti nei testi scritti.

In Occidente il riso arrivò invece in epoca cristiana.

Gli egizi e gli ebrei probabilmente non lo conobbero, e greci e romani lo citano solo come pianta aromatica e medicinale: ne parlano Teofrasto e Stradone, il medico Galeno lo consiglia nella dieta dei gladiatori e Plinio il Vecchio lo descrive nella sua Storia naturale.

Tuttavia per tutto l’alto medioevo in Europa il riso continua a essere considerato ingrediente per dolci o pianta medicinale.

Veniva soprattutto importato dall’oriente dietro pagamento di forti dazi e veniva considerato prezioso al pari delle altre spezie pregiate.

E’ difficile rintracciare l’arrivo del riso in Italia. Forse fu introdotto dagli Arabi in Sicilia, o dai crociati di ritorno dalla Terrasanta, o dai mercanti della Repubblica di Venezia. La coltura cominciò alla fine del quattordicesimo secolo, forse non a caso dopo l’ondata di terribili epidemie di peste che decimarono la popolazione di tutto il continente.

Le prime risaie furono in Piemonte e in Lombardia, terre fertili e ricche di fiumi. Si sa che nel 1475 Gian Galeazzo Sforza dona un sacco di riso ai duchi d’Este, contribuendo così alla sua diffusione, che continuò a crescere.

Alla fine del diciassettesimo secolo approdò in America. Per molti secoli in Occidente non fu coltivata che una sola varietà: il Nostrale. Fu solo a metà del secolo scorso che numerose altre varietà furono importate dall’oriente e che iniziarono selezioni e sperimentazioni di genetica vegetale.

Altro passo importante verso la moderna risicoltura fu quello compiuto da Cavour che diede l’impulso alla costruzione di grandi sistemi irrigui nel vercellese: l’irrigazione continua delle risaie proteggendo le piante dal freddo permise le prime coltivazioni intensive.

Oggi l’Italia, che è il primo coltivatore europeo di riso, dedica circa 230.000 ettari di terreno alle risaie. La maggior parte delle coltivazioni di riso della penisola si trova nel pavese e in Lomellina, sia per la tradizione delle tecniche di coltivazione, sia per le caratteristiche morfologiche del terreno.

COME SI COLTIVAVA

Il lavoro della risaia coinvolgeva uomini e donne: le donne venivano chiamate mondine: erano le mogli dei lavoranti, che prestavano servizio nella risaia in modo continuativo da febbraio a novembre, oppure le forestiere, che lavoravano in modo occasionale nei momenti di maggiore necessità. Si comincia con la concimazione: i bifolchi, che conducevano l’aratro tirato dai buoi, o i cavallanti, che invece procedevano a cavallo, scaricavano sui campi carichi di concime e le donne erano incaricate di spargerlo sul terreno.

Si procedeva con l’aratura, il livellamento del singolo campo, chiamato camera e la preparazione degli argini tra le camere, che veniva di solito effettuata da lavoratori stagionali o avventizi. L’aratura andava completata con la zappatura, in genere effettuata dalle donne. Poi si immetteva l’acqua e il terreno andava ancora una volta livellato. La semina, nei mesi di marzo e aprile, era compito di lavoratori avventizi esperti e ben pagati.

I seminatori per gettare la semente in modo uniforme dovevano camminare con passo cadenzato e il lavoro il lavoro era abbastanza pesante. La monda avveniva tra maggio e giugno ed era un lavoro tipicamente femminile: le mondine procedevano allineate, le erbe venivano passate di mano in mano e depositate nei solchi laterali dall’ultima della fila. Per lavorare nell’acqua le donne facevano un’arionda ovvero tiravano su la gonna e la fermavano con il laccio del grembiule. Il lavoro non era particolarmente gravoso e le mondine potevano cantare. Uno dei canti tradizionali è diventato poi un famoso canto partigiano: O Bella Ciao.

Ma con il termine monda si intendeva anche il trapianto: si tratta di un’altra tecnica di coltivazione, il riso veniva seminato in vivaio e trapiantato dopo quaranta giorni. Il lavoro di trapianto era più faticoso della raccolta delle erbacce, perché si doveva procedere a ritmo cadenzato arretrando, e si aveva un tempo limitato. Veniva svolto per lo più dalle mondine forestiere. Anche la mietitura avveniva con squadre in fila: i mietitori con una mano tagliavano le spighe e con l’altre le afferravano, fino ad avere le mani piene: allora le deponevano e le legavano insieme.

Il lavoro era faticoso e anche pericoloso: per esempio se una mondina rimaneva indietro correva il rischio di essere ferita dalla falce delle compagne della fila dietro. Fino all’Ottocento sulle messi essiccate al sole veniva effettuata la tresca: gli animali da tiro passavano sul raccolto, che poi veniva battuto. Nel secolo scorso si diffuse poi la trebbiatura.

Le prime macchine erano a vapore e richiedevano ancora molto lavoro umano, soprattutto maschile. Il risone ottenuto dalla trebbiatura andava ora pulito: si spargeva nell’aia per l’ultima essiccatura e poi si raccoglieva separandolo dalla paglia con una scopa a trama larga. All’inizio del Novecento si diffusero gli essiccatoi, ma il metodo tradizionale continuò a essere utilizzato ancora per diversi decenni.

VARIETÀ ANTICHE

Esistono moltissime varietà di riso, decine quelle attualmente coltivate in Italia, molte altre quelle coltivate anticamente che si sono perse nel corso dei secoli.

A Langosco, sulla valle del Sesia, sono state riportate in vita, e coltivate con l’applicazione fedele delle tecniche di coltura del XVII secolo, alcune fra le più antiche varietà di riso di cui esistano ancora sementi germinabili: Riso Lencino progenitore del famosissimo Carnaroli Riso America 1600 Riso Gigante di Vercelli.

Riso LENCINO

In quest’epoca la risaia è ancora ben lontana dal diventare elemento predominante del paesaggio lomellino, e comincia appena ad affacciarsi nell’avvicendamento colturale.

Sono i primi tentativi di affrancamento da un’agricoltura di sussistenza, che introducono elementi di varietà nel regime alimentare e incrementano un poco i ridottissimi scambi commerciali.

E’ l’inizio di una crescita della coltura e della cultura del riso, che attraverso tre secoli, dovrà lasciare un segno indelebile nel territorio, associando per sempre la risaia all’immagine della Lomellina.

Il riso LENCINO, progenitore del famosissimo Carnaroli, è una delle più antiche varietà di cui esistano ancora sementi germinabili.