Territorio

Narni e i suoi sapori

"[…]. Mi chiedevo in che cosa, […] un luogo come Terni, formatosi grazie ai dazi doganali e alle sovvenzioni, possa considerarsi sulla via del progresso rispetto alla vicina e immutata Narni, austera e rigorosa tra gli ulivi e le rocce delle sue gole."

(cfr. Vernon Lee, L’ebbrezza e il fragore, in Da Narni alla Cascata / emozioni e ricordi, già in Il fragore delle acque / La cascata delle Marmore e la valle di Terni nell’immaginario occidentale, a cura di A.Brilli, S.Neri e G.Tomassini, Federico Motta editore, Milano, 2002; p. 153)


Itinerario dei ponti romani

All'altezza di Narni la Via Flaminia divideva il suo tracciato, quello occidentale per Carsulae e Bevagna, ritenuto il più antico, e quello orientale per Spoleto. Lungo il percorso occidentale è possibile ammirare siti di notevole interesse storico e archeologico.

Tra questi emergono con particolare rilevanza i ponti che, come testimoniano le fonti antiche, furono tutti restaurati da Augusto, quando nel 27 a.C. il Senato gli conferì il potere imperiale.

L'itinerario qui consigliato propone la visita a quattro ponti che si trovano lungo il percorso che conduceva a Carsulae e testimoniano l'importanza che la Via Flaminia ricopriva a Narni

Il Ponte d'Augusto

Posto poco prima dell'ingresso del fiume Nera nelle strette gole tra lo sperone su cui sorge la città di Narni e il Monte Santa Croce, è un'importante testimonianza dell'età aurea romana.

Il ponte fu costruito nel 27 a.C. in relazione agli interventi di risistemazione e potenziamento della via Flaminia intrapresi dall'imperatore Augusto. Un grave terremoto nell'847 danneggiò il ponte e, successivamente una grande alluvione, nel 1053, ne provocò la caduta, da quel momento nelle fonti è ricordato come ruptum o dirutus.

Del ponte, che doveva essere a tre o quattro arcate, si possono ammirare la prima arcata, forse la più grande, e i ruderi di due pilastri.
Il ponte aveva una lunghezza di 160 m, mentre l'altezza dell'arcata rimasta in piedi è di 30 m. Il rapporto tra le due dimensioni evidenzia immediatamente un forte sviluppo verticale che genera l'effetto di grande imponenza che ancora oggi caratterizza le rovine. Il ponte è costruito con grandi blocchi di travertino squadrati e bugnati posti di testa e di taglio secondo le tecniche edilizie romane.

Il Ponte Caldano

La sua storia si conosce poco, anzi per niente. La sorpresa di trovare un vero ponte romano, con tutte le "decorazioni" del caso, è, allora, ancora più grande: Ponte Caldaro, a nord di Narni Scalo, era uno dei tanti ponti che i romani avevano costruito nel territorio comunale per sviluppare la Via Flaminia, che dall'Urbe doveva arrivare sino al Mare Adriatico.

Eppure deve scavalcare un fosso insignificante, verso Carsulae. E la "lunghezza è di 74.32 metri, la larghezza 7.90, la luce centrale di 9 metri mentre quelle laterali di 5.50 mentre quelle degli archi piccoli alle estremità di 3.50 metri" così come viene descritto nella Guida Archeologica Laterza. Un ponte che si allineava con quello più grande di "Augusto".

Ma Ponte Caldano era ben fatto se era durato per duemila anni. Quando della Flaminia si era persa ogni traccia aveva continuato a mantenere collegamenti, a vivere. Ponte Caldaro così come progettato dagli ingegneri romani era stato "inglobato" nella strada dell'Asse, di quel nastro di asfalto che collegava le due grandi capitali, Roma e Berlino. Cui fu un rimaneggiamento, ogni aspetto antico si perse.

E non c'era nessuno che aveva voglia di affacciarsi a vedere un capolavoro, un tesoro. Poi la guerra, la ritirata dei tedeschi, le mine sotto le arcate: ponte Caldaro saltò in aria: una arcata venne perduta per sempre.

Sembrava così quando solo qualche anno fa dopo alcuni scavi sono venute alla luce le pietre saltate in aria dopo lo scoppio della mina. Accantonate, aspettano ora di essere rimesse al loro posto. Intanto, Ponte Caldaro continua ad essere trascurato. E bellissimo.

Il Ponte Calamone

L'antica Via Flaminia attraversava il Fosso Calamone, dopo circa 2,5 km. di rettilineo dal Ponte d'Augusto su un piccolo ponte a due fornici, dei quali ne resta uno soltanto, insieme al pilone centrale e alla maggior parte della muratura agli argini, a testimoniare la raffinata manodopera in opera quadrata con ortostati e cunei bugnati, caratteristici quest'ultimi degli archi dei ponti lungo la Flaminia.

Il ponte, di età molto probabilmente augustea, vista la presenza di un piccolo arco di piena centrale, fu restaurato in mattoni dopo i danni subiti nella II guerra mondiale.

Il Ponte Cardona

E' un ponte romano realizzato in opera quadrata con conci di travertino. La sua architettura si richiama a quella dell'età Augustea. E' ad un solo arco a tutto sesto, leggermente rialzato. Si deve scendere nel letto del fosso per ammirarne tutta la sua bellezza: un'architettura vecchia di duemila anni emerge nel groviglio di una vegetazione spontanea e forte, a voler ricordare come l'uomo, quando vuole, possa accordarsi perfettamente con la natura.

L'acquedotto della Formina è in parte stato scavato in galleria e parte costruito in muratura. Segue un percorso tortuoso dovuto all'esigenza di mantenere la propria pendenza costante lungo un tracciato che parte da Sant'Urbano e raggiunge Narni dopo quindici chilometri.

La Storia

Il potere degli Albornoz tra Marche ed Umbria

Gil Alvarez Carrillo de Albornoz fu ecclesiastico e militare spagnolo. Come arcivescovo di Toledo nel 1338 si distinse nella lotta contro gli arabi. Una volta abbandonata la Castilla per dissensi con il re Pietro il Crudele si recò ad Avignone dove fu fatto Cardinale nel 1350 da Clemente VI. 

Come capo della penitenzieria apostolica nel 1353 fu nominato legato in Italia da Innocenzo VI con l’incarico di ricostruire lo stato pontificio disgregato dalle signorie locali e preparare il ritorno del Papato a Roma. Politicamente abile si servì anche di Cola di Rienzo e ridusse all’obbedienza quasi tutti i Signori permettendo il ritorno di Urbano V da Avignone. Giurista, emanò le Constitutiones Aegidianae nel 1357. per le Marche, che rimasero in vigore fino al 1816.

Oltre che a Narni molte altre città del centro Italia tra le Marche e l’Umbria portano ricordi della presenza dell’Albornoz in Italia. Tra queste, Assisi, Spoleto e Urbino.

Per rendere definitivo il suo dominio egli rafforzò le installazioni militari e le concretò visibilmente in numerose nobili architetture caratterizzanti il territorio, Albornoz si dimostrò un fervido realizzatore ed un committente illuminato, avendo saputo scegliere valorosi architetti, per i più importanti interventi, ed indirizzarli verso soluzioni degne e intelligenti, adatte alle molteplici esigenze difensive. 

E riuscì a sfruttare abilmente circostanze e rivalità locali al fine di dissimulare, o almeno non inasprire, l’immagine e le conseguenze del ristabilito dominio.

Di questa complessa attivissima figura di fine uomo politico non si è ancora riusciti ad illustrare le tante opere architettoniche fatte sorgere in Umbria, nelle Marche e in Romagna, tuttora di data dubbia o di incerta attribuzione. 

Punteggiano il territorio in modo vario ed in apparenza episodico, mostrando aspetti efficaci ed interessantissimi, ma non ancora oggetto di studi specifici e, tanto meno, di valutazioni comparate; anzi di tali fortificazioni non esiste neppure il catalogo o una semplice mappa. 

Solo di recente sono comparse le monografie su due architetture - le Rocche di Spoleto e di Sassoferrato - che per la loro assoluta diversità assumono quasi valore emblematico, costituendo gli esempi massimo e minimo dell’attività fortificatoria albornoziana e risultando illuminanti per altre attuazioni.

Tutte le rocche - chiamate con questo modesto termine anche quando assurgono a grandiosi castelli, come a Spoleto - servirono naturalmente a presidiare il territorio circostante e a tenere sotto controllo le strade di accesso per proteggere le attività e la stessa sicurezza dei centri storici; ma anzitutto vennero a far sentire agli abitanti anche l’effettiva presenza dell’autorità centrale e la possibilità di sue azioni militari.

In queste rocche la cancellazione di qualsiasi fabbrica o insediamento preesistente affermò subito ed in maniera concreta, il deciso impegno innovatore del Vicario pontificio, mentre il loro impianto si conformò spesso in modi allusivi e simbolici per esprimere specifici significati.

Pure a Spoleto gli apprestamenti essenziali sono rivolti verso la città, ma il possente maschio risulta dissimulato nell’unitarietà dell’impianto e nella disposizione regolare delle torri esterne. 

Contrariamente ad ogni aspettativa, l’eccezionale abilità politica consigliò inoltre l’Albornoz ad escludere qualsiasi pur piccola cappella in questo grande complesso fortificato, anche se costruito da un Cardinale. Il suo fiuto lo portò ad evidenziare soltanto i propri poteri di governo nel realizzare le rocche da lui definite "strumenti della tranquillità e della pace".

Astenendosi perciò dal predisporvi i luoghi deputati al pietismo devozionale, egli costruirà tuttavia le sue cappelle in chiare forme gotiche: nel Collegio di Spagna da lui eretto a Bologna e nella Basilica di San Francesco ad Assisi, dove verrà sepolto. Dai meditati impianti planimetrici già si desume l’impegno architettonico che il Cardinale volle rivolto alla progettazione delle rocche fregiate del suo stemma o giustamente tramandate con il suo nome.

In tali opere egli seppe inserirsi nella tradizione, compiacendo ed esaltando il gusto delle popolazioni locali, malgrado la diversità delle preferenze personali, deducibili dal goticismo delle due cappelle erette a proprie spese.

 Nella tessitura muraria delle rocche colpisce, in generale, la costante semplicità costruttiva, ugualmente lontana da pedanti uniformità come da rozze approssimazioni: le fu conferita una congrua dignità per l’apparenza e i fini dell’opera architettonica, che ben si coglie nella normativa degli apparecchi murari, specie angolari, e nelle proporzioni delle aperture, assicurando praticità e rapidità di esecuzione.

Da vedere a Narni

Narni Sotterranea

Per chi ama l'arte e la storia, Narni Sotterranea offre un importante varietà di ambienti da visitare, nell'ambito di un percorso guidato nei sotterranei della città.

Sotterraneo di S. Domenico
Durante questa visita si possono ammirare i locali sotterranei dell'antico complesso conventuale di San Domenico, con annessa una ipogea affrescata nel XIII e XV secolo, i resti di un impianto romana con cisterna (Lacus ) ed una cella ricca di graffiti realizzati dai reclusi del tribunale dell'Inquisizione.
Santa Maria Impensole
Si passa poi ai sotterranei di Santa Maria Impensole, chiesa dell'VIII secolo,a tre navate, costruita sui di un tempio romano un tempio romano. Trasformata in cripta nel XII secolo, conserva ancor oggi due cisterne di età romana.
Acquedotto romano "Formina"
Percorso esterno di un tratto dell'acquedotto costruito dai romani nel I sec.d.C. e visita al ponte Cardona (centro geografico d'Italia). Possibilità, su prenotazione, di percorso interno dei trafori di S.Biagio, S.Silvestro e Monte Ippolito.
Lacus
Grande cisterna altomedioevale situata sotto piazza Garibaldi, già piazza del Lago, con volte in pietra concia e resti di pavimento in opus spicatum.

La Rocca Albornoz di Narni: "Vigile sentinella alla porta dell’Umbria”

La Rocca fu costruita dall’architetto Ugolino di Montemarte sotto richiesta del cardinale Egidio Albornoz, probabilmente tra il 1359 e il 1370. Papa Innocenzo VI voleva infatti un sistema di fortificazione per rafforzare il governo della Chiesa e la Rocca che oggi si ammira maestosa fa parte di quella costruzione. 

Edificata a partire dal 1366, la Rocca accolse come primo castellano forestiero Giovanni di Novico. I lavori furono portati a termine nel 1378 e nel 1449 Bernardo da Settignano, conosciuto al tempo come il Rossellino, fu incaricato dal Papa Nicolò V di realizzare una serie di lavori sulle mura. La Rocca, al cui interno erano conservati diversi tipi di armi, fu poi abitata da Pietro Eroli e Federico Lolli. 

Questa imponente rocca rappresentava una fortezza formidabile del territorio, con una forte capacità di controllo grazie alla sua posizione strategica che sovrasta la via Flaminia e la conca ternana. La sua struttura presenta una pianta quadrata fortificata su tutti e quattro gli angoli con quattro torri. Al suo interno, si possono ammirare resti di decorazioni e un affresco rappresentante una Madonna con Bambino che viene attribuito alla cerchia del Maestro della Dormitio di Terni.

La Rocca di Narni emerge autorevolmente fra queste realizzazioni, inserendosi con prestigio in un amplissimo panorama. Anche se non fu situata in cima all’altura prossima alla città, il castello sovrasta il vasto territorio della conca di Terni sorvegliandone tutti gli accessi; poteva controllare da lontano le vie di comunicazione con Amelia, Perugia e Terni e dominava la via Flaminia e la strada da Orte, qualificandosi come vigile sentinella alla porta dell’Umbria. La balza prossima alla città fu scelta e liberata da altre costruzioni per erigerla dando la netta sensazione di un dominio protettivo.

Adagiata perciò su un declivio, la Rocca si inquadra nel paesaggio in modo originale e pittoresco e sembra coronare la forma allungata ed ascendente della città murata; ma in realtà la pone anche sotto diretto controllo di possibili tiri di infilata. La fortezza esibisce con franchezza la propria natura e consistenza, motivata dalle quattro torri e risolta in una sequenza di volumi, diversi nelle misure ma analoghi nelle proporzioni. 

E l’appagante primo approccio già rileva la mano di un maestro nella vivace armonia dell’opera tutta, verosimilmente ideata prima della morte del cardinale avvenuta nel 1367.

Lo schema planimetrico è riconoscibile in un quadrato di base con torri disuguali giustapposte agli spigoli, simili perciò a quelle di Spoleto, anche per le misure e per qualche scaletta ricavata nello spessore murario. 

All’interno i corpi di fabbrica, disposti solo su due lati, lasciano spazio alla corte, pure quadrangolare, su cui domina la maggiore delle quattro torri che costituisce il maschio. Proprio come a Spoleto, il torrione - rivolto verso la città - presenta la medesima altezza sul piano del cortile. 

E lassù immaginiamo puntata una famosa colubrina - la Scarmigliata - che non darà però il nome a tutto il maschio, come avvenne a Spoleto per altra simile arma da fuoco: la "Spiritata". Ed è anche tipica la comune fedeltà alle forme squadrate, senza la minima concessione agli impianti curvilinei, dato che i torrioni circolari di Narni costituiscono una chiara aggiunta posteriore.

Sorprendono le precise similitudini ora rilevate e le altre riconoscibili negli ambienti interni con volte a botte e a crociera. Si potrebbe perciò scomporre idealmente la Rocca nelle sue principali consistenze per riguardarla solo come un nuovo assemblaggio di parti predeterminate. Fu una scelta di metodo, intesa solo a facilitare il processo costruttivo, imperniandolo su parti essenziali già note e sperimentate; ed era un’esigenza quanto mai rilevante per un’architettura militare da realizzarsi in fretta: basti pensare quanto fosse operativamente più semplice e rapido far diretto riferimento ad esempi già conosciuti.

Il castello di Narni non si qualifica come frutto di imitazioni parziali e neppure può giudicarsi quale libero accostamento o come ripresa di unità compositive elementari. È una vera opera d’arte concepita da un validissimo architetto ed attuata dalla medesima regia architettonica che assicurò credito e continuità ai progetti albornoziani. Comunque una data importante è quella del 1371, anno in cui a Narni il castellano si insediò nella Rocca – che perciò doveva essere funzionante anche se lungi dal completamento – mentre a Spoleto si continuava ancora a lavorare attivamente.

Difatti le parti accessorie e spesso perfino le torri, le zone alte o le strutture interiori delle fortezze venivano realizzate dopo aver chiuso il circuito delle muraglie esterne; ed anche a Narni non mancano, a tal proposito, chiare indicazioni murarie.

Come le vere opere d’arte, la Rocca di Narni appare articolata ed unitaria allo stesso tempo; e la felice impressione è rafforzata dall’uguale coronamento a beccatelli delle sue torri e delle sue cortine. Nelle finiture originarie la Rocca si distingue soprattutto per i due portali goticheggianti scolpiti con eleganza: l’imprevista caratterizzazione decorativa impreziosisce l’esempio di Narni, insinuandovi minuti formalismi gotici estranei alla prassi instaurata dall’Albornoz.

Codeste espressioni di diverso orientamento artistico le ritengo connesse a personali preferenze del Cardinale francese che gli succedette nella carica di Vicario generale e che vicino appose il proprio stemma.

Tra i due nobili portali il cortile apre il suo spazio quanto mai studiato e scenografico, la cui vivacità accentua il piacevole contrasto con le stringate cortine esteriori: intervenne a motivarlo il gioco delle scale esterne e, ancor più, il ballatoio a sbalzo ora distrutto, che disimpegnava gli ambienti del piano nobile.

Questo complesso ha finalmente trovato una nuova stagione di vita che ora si inizia nel modo migliore.

La Provincia di Terni e il Comune di Narni hanno compiuto un atto di notevole rilevanza e degno di lode: con l’acquisto della Rocca sono entrati in possesso di un edificio prestigioso, un vero trascurato gioiello architettonico da fruire degnamente nel prossimo futuro.

Cenni sulla presenza dell’Albornoz ad Urbino

La mole fortificata di Urbino, che domina la città dall'alto del cosiddetto Pian del Monte, fu realizzata nella seconda metà del XIV secolo per volontà del cardinale Albornoz. Questi aveva infatti giudicato inadeguato il vecchio fortilizio feltresco che sorgeva in prossimità. 

Messa a dura prova nel corso dell'assedio capeggiato da Antonio da Montefeltro - che tornava a Urbino nel 1375, forte della rivolta popolare che gli aveva riconsegnato la città – subì diverse distruzioni e ricostruzioni nel corso del secoli. Queste ne hanno variamente trasformato la struttura edilizia, che oggi si caratterizza per un impianto rettangolare munito di cortine scarpate continue, torri semicircolari e bastioni. 

All'inizio del Cinquecento, per opera dell'architetto urbinate Giovanni Battista Comandino, al servizio del duca Guidubaldo I e successivamente di Francesco Maria II della Rovere, la rocca fu raccordata alla nuova cinta di mura bastionate della città, di cui venne a costituire l'avamposto nord-settentrionale. Alcuni rifacimenti risalgono infine al 1799, epoca dell'occupazione francese.

Riti e miti della cucina narnese

Le Intusse

La preparazione delle Intusse , dolci che hanno forma di ciambella, è il momento che precede la festa di maggior aggregazione ed allegria. Alcune massaie dell’area in questione – Itieli nello specifico – riportano memorie d’altri tempi circa il valore di questi dolcetti nella società il rito della preparazione e la festa a loro dedicata. "Siamo parecchie femmine - dice Santina di Itieli - prendiamo due mattere e in due giorni prepariamo le ciambelle ".

La preparazione delle ciambelle non è un'attività esclusiva delle donne e ognuno ha il suo ruolo:

"Anche gli uomini aiutano davanti al forno, perché il forno è faticoso, è caldo. Ci vuole l'aiuto di tutti - continua Evelina - l'olio deve essere quello buono, tanto, tanti anici, li scegliamo buoni e li mettiamo a bagno col vino. Quando la pasta è bella lievita, allora attacchi a spianalle, c'è una callara bella grossa a bollire perché noi prima le lessiamo, se no vengono dure. Chi le spiana, chi le mette nel callaro a lessare, chi nel forno, chi le tira fuori, siamo sempre tanta gente a lavorare. Si parla, si ride, se ne dicono di tutte le qualità e ci piace tanto di fare la festa ".

Pronte le ciambelle, chiamate da qualcuno anche bocconcello, la sera del sabato con l'ape o col trattore si portano co' li biconzi nei luoghi predisposti per essere benedette dal prete.

Elena di Sant'Urbano regala la sua ricetta utile per 30 ciambelle:

1 bottiglione di olio
1 bottiglione di latte
1 bottiglione di vino
7 uova
1 bicchiere di mistrà
2 etti di lievito di birra
1 bella brancatella di anici
la farina quanta ne raccoglie
un po' di sale