Prodotti tipici

Lo Zafferano di Navelli

Pianta originaria del Medio Oriente, introdotta in Italia da un frate Domenicano intorno al 1300, la colutura di esso si diffuse in Abruzzo con rapidità ed in molte altre zone della penisola; ma per varie cause nei secoli successivi decadde gradatamente e si restrinse nel solo abruzzo Aquilano, in particolare nella piana di Navelli, unica zona Italiana dove vive in perfetta salute ancora oggi.

Il fiore dello zafferano è di colore viola, gli stimmi sono di colore rosso e da questi si ottiene la spezia-droga detta

Questa spezia nell'antichità era conosciuta non tanto per la culinaria ma per le sue eccezionali proprietà medicinali; difatti era considerata antispasmodico, emmenagogo e nel rinascimento era ritenuto quasi una panacea.

Lo zafferano prodotto nella Piana di Navelli è ritenuto il migliore di tutto il mondo per le sue qualità. Per un Kg di zafferano in fili occorrono circa duecentomila fiori.

In commercio si trovano vari tipi imitati, specialmente nella droga in polvere; vengono adoperati fiori di carathamus tinctorius, ligule di calendula officinalis, petali tagliati di Punica granatum, Papaver rhoeas, stimmi di Crocus vernus Hill ecc.
 
Uso medicinale dello zafferano

Gli stimmi del fiore contengono un olio volatile, aromatico associato ad un glucoside amaro, ad alto potere colorante: la Crocina. La moderna medicina riconosce allo zafferano proprietà eupeptiche, stimolante del sistema nervoso e della fase mestruale di cui attenua spesso i sintomi dolorosi.

Per uso esterno lo Zafferano entra nella composizione di proprietà preparati a base di miele, da usare per le gengive irritate e dolenti in generale e durante la fase di dentizione per i piccoli. Preparati di zafferano vengono tradizionalmente applicati su ecchimosi, scottature ed escoriazioni.

Fa parte di numerose preparazioni, quali il LAUDANO del SYDENHAM; il collirio astingente luteo, l'empiastro ossicroceo ecc.

Navelli e dintorni

Il paese di Navelli appare all'improvviso a coloro che percorrono la strada che attraversa l'omonima piana, come una nave color pietra che naviga e sorveglia la vasta distesa d'erba dell'altopiano; ed il paragone tra il paese e la nave non è azzardato poiché proprio sulla pietra degli stemmi comunali sparsi per il paese, sulla pietra dell'architrave della chiesa della Madonna del Rosario, edificata tra il XVI e il XVII secolo, e sul legno del portale della chiesa parrocchiale, troviamo scolpita una nave con le vele al vento, pronta a seguire sul mare le rotte del commercio.

Anche se il nome non ha nulla a che fare con l'insegna del paese: esso è di origine molto più antica, pre-romana, e la base nava vuoi dire "conca", riflettendo la posizione geografica del paese.

La cittadina, che da lontano appare come una gigantesca scalinata di pietra adagiata sulla collina cui fa da manto, ha conosciuto la ricchezza: lo testimoniano la raffinata architettura degli edifici, le pietre lavorate dei balconi, degli architravi e delle colonnine che adornano le finestre e che rendono, ancor oggi, una passeggiata nel suo centro un continuo sorprendersi per la bellezza degli scorci e delle bellissime decorazioni.

Navelli mantiene intatto il suo impianto medievale e le strette strade a cordonata ai lati delle quali si innalzano, quasi aggettanti antichi edifici che convergono verso il bel palazzo castellato (palazzo Santucci) tardo-rinascimentale che domina il paese e la piana.

Proprio dalla pianura che le si stende ai piedi, Navelli ha per secoli saputo trarre la sua ricchezza: città vestina di origine antichissima, contribuì all'edificazione dell'Aquila, ma rimase un centro commerciale e produttivo vivo ed importante grazie al piccolo fiore viola che solo lì, su quell'altipiano a più di settecento metri di altezza, riusciva a produrre "oro rosso naturale".

Ma la ricchezza di Navelli non navigava soltanto sulle onde violacee dello zafferano: ancor oggi le strade dritte come lame che attraversano il territorio rivelano la loro origine tratturale, e quei tratturi erano percorsi tutti gli anni da centinaia di migliaia di pecore che, ogni autunno, erano condotte a svernare sulla costa, lasciandosi alle spalle la neve di Campo Imperatore.

Ai piedi del paese transitavano quindi eserciti di ovini, ed i pastori che li guidavano si fermavano a trascorrere le notti presso chiese poste ai lati della strada, in stanze-dormitorio annesse o semplicemente sotto tettoie; in queste chiese tratturali essi trovavano frati e sacerdoti pronti a dare conforto alla loro anima oppure a consegnare messaggi, orali o scritti, ai compagni che non erano ancora giunti: lì ci si informava di come procedeva il viaggio, si raccontava loro delle difficoltà incontrate sulla pista e ci si dava appuntamento sulle pianure della costa pugliese, dove la transumanza sarebbe terminata.

L'antico tratturo, oggi comodissima strada statale (S.S.17) dell'Appennino Abruzzese, conserva ancora, ai suoi margini, queste chiese, tra le quali Santa Maria delle Grazie, cinquecentesca, e Santa Maria in Cerulis, la cui struttura, risalente al secolo XI, ha come fondamenta le pietre di un tempio dedicato ad Ercole di Incerulae, il nome che assunse il paese in età romana; chiese bellissime nella loro essenzialità composta, dalle semplici facciate a coronamento orizzontale.

Annesso a Santa Maria in Cerulis è ancora visibile il porticato presso il quale trovavano riparo per la notte i pastori.

A Civitaretenga si trovano l'antico monastero di Sant'Antonio, il cui chiostro ha mantenuto intatto l'impianto del XIII secolo mentre la chiesa annessa è rinascimentale, e la settecentesca chiesa dedicata a San Salvatore, decorata con pregevoli stucchi.

Nel centro storico di Navelli, mentre si passeggia per le strette viuzze, tra edifici costruiti con pietre testimoni di un tempo antico, merita una particolare attenzione ed una sosta ammirata la massiccia, eppure armonica, struttura architettonica del palazzo castellato, mentre all'interno della chiesa parrocchiale, dedicata a San Sebastiano ed edificata tra il XV e il XVI secolo, è esposta una croce processionale.

PARCO NATURALE DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA

Gran Sasso, Monti della Laga, Monti Gemelli: tre gruppi montuosi per un Parco tra i più estesi d'Italia, che coinvolge tre regioni, cinque province, quarantuno comuni.

Paesaggi sconfinati che hanno conquistato generazioni di appassionati, fra i quali non pochi registi che, da Pietro Germini ai fratelli Taviani, da Sergio Rubini alla Cavani, hanno scelto questi luoghi per girare i propri film.

Alle falde del Gran Sasso, tra le vecchie mura di Rocca Calascio, l'unico rumore che risuona tra vicoli e scalinate deserte è il mugghiare del vento, che percorre la montagna.

Alle spalle della città morta, dominata dal castello più poderoso e solitario d'Abruzzo, le praterie verso il cuore del massiccio fanno da sfondo selvaggio alle delicate fattezze della chiesa di S. Maria della Pietà.

Di poco distanti, gli spazi raccolti e ancora vivi delle piazzette delle rampe di Castel del Monte e Santo Stefano di Sessanio rappresentano invece due tra i centri storici meglio conservati della regione.

Non meno affascinante delle ricchezze naturalistiche, il patrimonio storico-artistico compreso entro i confini dell'area protetta è di assoluto rilievo. Sul versante opposto, quello teramano, a Castelli si perpetua una tradizione di lavorazione della ceramica ormai plurisecolare.

Isola del Gran Sasso, Arquata del Tronto, Amatrice, Pietracamela offrono altri scorci d'interesse, per non dire del capoluogo appena alle porte del Parco, L'Aquila, coi ben noti monumenti che ne fanno una meta d'arte di primaria importanza.

Ma è nella valle del fiume Tirino che probabilmente si offrono al visitatore i monumenti più emozionanti.

La chiesa di S. Pietro ad Oratorium, in aurea solitudine, è tra i non pochi esempi del romanico abruzzese uno dei più felici.

E la vicina Capestrano, in cima a una valle che a primavera inebria col profumo dei mandorli in fiore, è la patria del famoso Guerriero di Capestrano, custodito al museo archeologico nazionale di Chieti e assurto a simbolo della remota arte italica.

In effetti è il ritratto in pietra dei nostri antenati, antichi abitanti dell'Appennino, e, a pensarci bene, non poteva che venire da qui.

I paesaggi più noti li offre il Gran Sasso, coi suoi 2912 metri d'altezza e le sue pareti severe, quasi una montagna alpina.

Era l'estate del 1573 quando il capitano bolognese Francesco De Marchi e il cacciatore di camosci Francesco Di Domenico salivano per primi sulla vetta più alta, quella del Corno Grande.

Da allora gli uomini non hanno cessato di frequentare queste alture, mentre ai camosci è toccata l'estinzione.

Solo negli ultimi anni, per volere del neonato Parco, è stata intrapresa la fortunata iniziativa, che ha il sapore del risarcimento, di reintrodurre l'elegante ungulato grazie a esemplari provenienti dal Parco d'Abruzzo.

Assieme ai cervi e caprioli esso è fra le principali prede del lupo, presente in diversi piccoli nuclei; da qualche tempo, anche l'orso marsicano è stato avvistato.

Ai piedi di pareti impressionanti, oltre a pascoli tranquilli per i camosci ritrovati al Gran sasso brillano i colori della biodiversità: innanzi tutto il giallo dell'adonide, fiore che in Italia cresce solo qui, e poi il bianco lanuginoso della stella alpina dell'Appennino, l'azzurro delle campanule e le tante sfumature delle quasi duemila specie censite.

Molti gli endemismi in comune col confinante massiccio della Majella: preziosi esempi ne sono il genepì appenninico, la primula orecchia d'orso, il salice erbaceo. Laga Solitaria.

Aspro e brullo sul versante aquilino, dove si affaccia sul grande orizzonte carsico di Campo Imperatore, verdeggiante invece di boschi e coltivi su quello teramano, a settentrione il Gran Sasso è affascinato da una montagna ben diversa: la Laga.

L'acqua è il suo elemento, con una trama di torrenti e cascate che la natura marnoso-arenacea, e quindi impermeabile, dei suoli costringe in superficie lungo percorsi bizzarri, salti prolungati oppure improvvisi, tra boschi lussureggianti.

Tassi e agrifogli accompagnano i faggi nelle estese foreste di mezza quota, al di sopra della fascia delle querce e dei castagni, mentre frassini, aceri, tigli e olmi montani vegetano nella penombra delle forre. In alcuni siti, come al Bosco Martese, sopravvivono alcuni dei nuclei più consistenti di Abete bianco dell'Appennino centrale.

Corsi d'acqua e pozze ospitano tritoni alpestri, ululoni dal ventre giallo e pesci assai esigenti quanto a qualità delle acque, come il vairone e la trota macrostigma.

A nord-est della Laga, a metà strada tra Teramo e Ascoli Piceno, i Monti Gemelli offrono ancora scorci solitari; certo, si tratta di altitudini meno pronunciante, ma ugualmente caratterizzante da una singolare abbondanza di grotte ed eremi e daipaesaggi verticali delle gole del Salinello.

Qui sono di casa molti rapaci, dall'aquila reale al falco pellegrino e al gufo reale, che nidificano su inaccessibili cenge.

I loro territori di caccia sono assai estesi e si spingono anche al di fuori del Parco.

D'altro canto, l'area protetta copre il settore centrale e più elevato dell'Appennino abruzzese, confinando direttamente con altri due importanti parchi nazionali: a nord-ovest dei Monti Sibillini, a sud-est quello della Majella, oltre la barriera antropica dell'autostrada e della ferrovia, che percorrono in parallelo la valle del Pescara.

Se si considera anche la relativa vicinanza al Parco d'Abruzzo, e soprattutto quella col grande Parco Regionale del Sirente-Velino, appena al di là della valle dell'Aterno, appare evidente l'importanza dell'insieme di queste aree protette, in particolare per garantire un sufficiente livello di tutela a un ecosistema ricco di vertebrati il cui equilibrio necessita di spazi assai estesi.

Gli arrosticini: cibo di strada abruzzese

L’arrosticino abruzzese, specialità culinaria preparata con carne di pecora, è apprezzato in Italia e all’estero.

Non tutti sanno però che gli arrosticini migliori si preparano a Succiano, frazione di Acciano, nota per la "sagra del tartufo e dell’arrosticino" che si tiene l’ultimo week end di luglio.

Grazie al sito internet della Pro Loco di Succiano, sapientemente curato dal webmaster Concetto Scandurra, i responsabili della Rai, dopo accurate ricerche, hanno invitato una rappresentanza della Pro loco di Succiano negli studi di RAI UNO, in diretta, nello spazio condotto da Beppe Bigazzi e Antonella Clerici dal tema "Cibi da strada".

Nella "Prova del cuoco" lo chef Enzo De Santis e la sua la brigata hanno preparato circa 1000 arrosticini con bruschetta all’aglio bianco di Succiano.

E’stato un successo trionfale con degustazione e apprezzamenti da parte di tutti i presenti nello studio televisivo.

Per non restare con l’acquolina in bocca non resta che andare tutti a Succiano, nell’ultimo fine settimana di luglio 2007, alla "sagra de tartufo e dell’arrosticino".